Il Borgo di Frosolone

Le nude rocce dell’Appenino Molisano proteggono Frosolone, i pascoli dal verde vivace sono intervallati dai colori dei Bucaneve e dei Ciclamini, che spuntano dopo essersi abbeverati con l’acqua delle prime piogge. Frosolone è un paese semplice, dove si possono ancora vedere mucche al pascolo e cavalli allo stato brado, non è un caso se lungo i tratturi che sfiorano il borgo, due volte l’anno, giungono le mandrie dei Colantuono, ultimi pastori italiani della transumanza, originari proprio di questo luogo.

Il martellare delle fucine dei mastri coltellinari è il suono di Frosolone, sono l’orgoglio di questo piccolo borgo, animato da tradizioni antichissime che ancora oggi scandiscono la vita dei suoi abitanti. I costumi d’epoca accompagnano ad agosto il rito delle passate, così come il profumo dei formaggi locali fà venire l’acquolina a chiunque s’affacci alla porta della Casa del pastore, che ricorda l’antica tradizione della pastorizia e dalla produzione casearia artigianale di Frosolone.

Frosolone non è solo questo, è anche dolore e rinascita, voglia di vivere e di essere felici, un’insieme di emozioni che fanno bene all’anima.

Frosolone veduta
Monumento al coltellinaio Frosolone
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Monumento al coltellinaio Frosolone
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La storia di Frosolone è tracciata dai solchi di ferite profonde ma racconta anche della forza grande dei cittadini, desiderosi di rinascere e ripartire.

I resti di antiche mura megalitiche, ritrovate il località Civitella e risalenti ad un periodo compreso tra il V e il VI secolo a.C., sono testimoni di un insediamento d’altura, che era abitato solo in determinati periodi dell’anno da popolazioni di origine osco-sannitica.

La zona in cui sorge il borgo antico era probabilmente legata all’abazia di Montecassino, ciò si può dedurre dai monumenti di chiaro stampo benedettino presenti nel centro storico ma anche dall’esistenza di un documento, custodito negli archivi dell’abazia, che racconta del trasferimento in questi luoghi di un gruppo di coloni provenienti da Frosinone, da cui, secondo una teoria, deriverebbe il nome del borgo attuale. Altri sostengono invece che il toponimo derivi da frisone, un volatile rappresentato anche nello stemma civico.

Frosolone si configura come un vero e proprio centro urbano verso la fine del medioevo. Nel XII secolo il feudo è detenuto dai conti Borello ma durante tutto il periodo della feudalità il borgo passa dalle mani di numerosi feudatari. Il periodo di crescita di Frosolone s’interrompe drasticamente a causa di un devastante terremoto che nel 1456 danneggia gravemente gran parte della zona molisana.

Con l’inizio della dominazione spagnola nel mezzogiorno, nella seconda metà del 1500, Frosolone torna nuovamente a crescere, uno sviluppo che prosegue per tutta l’età moderna e lo porterà a diventare intorno al 1800, il secondo comune del Molise, con quattromila abitanti. Purtroppo la natura non sembra voler sorridere a questo borgo e un nuovo devastante terremoto lo mette inginocchio. Fonti dell’epoca riferiscono che il numero di morti si aggirò intorno al migliaio, nonostante ciò nel 1835 Frosolone conta nuovamente più di quattromila abitanti. I lavori di ricostruzione dell’abitato durarono a lungo e al loro termine il borgo aveva cambiato volto: l’assetto urbano era stato modificato per gran parte, inoltre in questo contesto vennero realizzate alcune opere pubbliche, come la fognatura, l’impianto d’illuminazione pubblica e la Fonte dell’Immacolata.

Nonostante questo il terremoto trascinò la popolazione verso il baratro della crisi economica e il paese venne travolto da due forti ondate migratorie, una all’inizio del novecento ed una nel secondo dopoguerra. Agli inizi del XIX secolo molti giovani scelsero di trasferirsi in America e purtroppo questa è una delle motivazioni per cui Frosolone perse molti dei suoi figli nel 1907, in una tragedia mineraria a Monongah, nella Virginia del nord.

Le migrazioni hanno causato un notevole calo demografico, che continua a danneggiare la comunità ancora oggi. Il borgo infatti si trova a dover contrastare un processo di invecchiamento della popolazione, che da qualche decennio a questa parte si sta cercando di arginare.

Chiesa di Santa Maria Assunta

La chiesa di Santa Maria Assunta risale al XIII secolo, venne aperta al culto nel 1309. Un documento custodito all’Archivio di Stato di Napoli ricorda il passaggio del titolo parrocchiale dalla chiesa di San Martino alla chiesa di Santa Maria Assunta, che è stata edificata nella parte più alta del borgo. L’edificio è stato più volte rimaneggiato e restaurato, a causa dei terremoti che lo hanno danneggiato. La chiesa e il suo imponente campanile turrito si affacciano su una piazza che in passato costituiva il punto centrale del borgo, perché era un luogo a cui si giungeva da ogni direzione ed era tradizionalmente un punto di ritrovo per tutti. La facciata che si può vedere oggi è in stile barocco, le paraste dividono il prospetto in due parti, attribuibili a due epoche differenti. La parte più recente è caratterizzata da intonaci e si distingue nettamente dagli elementi risalenti al periodo medievale. Il portale conduce all’interno di un edificio con pianta a croce latina, appena varcata la soglia si trova la statua che rappresenta la Madonna Assunta circondata dagli angeli. Due serie di pilastri dividono l’ambiente e creano tre navate, la navata centrale è caratterizzata da un cielo con volte a botte ed una cupola ribassata.

Le tele a olio che si trovano sui due altari laterali, risalgono al millesettecento, rappresentano la Madonna con le anime purganti e sono state realizzate da Giacinto Diana, pittore napoletano considerato la maggiore personalità artistica del suo tempo.

Chiesa di San Pietro Apostolo

Il terremoto di Sant’Anna, nel 1805, rase al suolo l’antica chiesa di San Pietro Apostolo, che ha lasciato spazio all’attuale Largo Vittoria, la piazza più grande del borgo antico. La presenza di una chiesa in quel luogo, è testimoniata dai due leoni in pietra che in passato sorreggevano due colonne ed oggi si trovano sul basamento della croce che occupa il centro della piazza.

I parametri sacri dell’edificio ed alcuni elementi originali sono stati traslati nell’attuale chiesa di San Pietro Apostolo, che sorge a poca distanza da Largo Vittoria. La facciata risale agli anni quaranta del novecento ed è stata realizzata dal parroco di allora, padre Giuseppe Maria Trillo, l’interno custodisce opere d’inestimabile valore. Si può ammirare infatti una statua lignea che raffigura l’Immacolata e risale al 1750, ma soprattutto una scultura del Sacro Cuore di Gesù, opera di Giovanni Duprè, artista senese e due tele che raffigurano la Sacra Famiglia, realizzate da sua figlia, Amanda. La chiesa in origine era attaccata al convento di Santa Chiara.

Convento di Santa Chiara

La storia del Convento di Santa Chiara è molto travagliata, ma si conclude con un felice lieto fine.

La sua fondazione è stata voluta nel 1367 da Giovanni d’Evoli, che a quel tempo deteneva una parte del feudo di Frosolone. Rientravano nelle proprietà del convento due chiese, quella contigua di Santa Chiara ed una che si trovava in località San Pietro in Valle ed era intitolata a Santa Maria di Loreto. Nel XVII secolo il convento viene abbandonato e passa nelle mani dei Frati Minori Conventuali, che lo abitano fino al 1805. Il terribile terremoto lo danneggia in modo grave, per questo il convento è relegato ad un periodo d’abbandono che però dura poco, infatti dopo alcuni anni vengono avviati i lavori di ristrutturazione che terminano nel XIX secolo. L’impianto del convento non viene modificato, rimane la pianta squadrata e il chiostro con porticato, invece vengono modificati gli ambienti interni in virtù del fatto che l’edificio verrà sottoposto ad un cambio di destinazione. Diventa prima Giudicato Regio del Circondario, poi sede della Pretura e successivamente addirittura un carcere. Solo nel 1994 il comune di Frosolone trasferisce nell’ex monastero il municipio, avviando così una nuova fase di rivalutazione dell’edificio.

Palazzo Baronale Zampino

Il palazzo baronale rappresenta il fulcro del potere temporale di Frosolone. La sua costruzione poggia sulle mura e tradisce un austero carattere difensivo che, come spesso accade, si è perso nel tempo.

Il palazzo è stato costruito nello stesso punto in cui si trovava un castrum longobardo. Nel periodo normanno la ricchezza e la potenza di un feudo si misurava con il numero di soldati che il feudatario poteva mantenere, grazie alle rendite in once d’oro. Nel 1100 Raynaldo di Pietrabbondante aveva in concessione il feudo di Frosolone che gli fruttava centoventi once d’oro, corrispondenti al mantenimento di sei militi e di altrettanti servienti, questo significa che già d’allora il borgo godeva di un certo prestigio.

Nel 1305 il palazzo diventa sede della Santa Inquisizione e tra le sue mura Fra Tommaso d’Aversa, crudele inquisitore, processa per eresia alcuni frati Minoriti, condannandoli ad essere rinchiusi nelle stesse stanze della fortezza. Nel 1500 quando era abitato da Francesco Marchesano e poi dalla famiglia Della Posta, il palazzo subì un profondo rimaneggiamento che lo portò a cambiare aspetto e a lasciare la veste austera di fortezza difensiva per indossare gli abiti eleganti di un palazzo gentilizio.

L’aspetto esterno del palazzo baronale è sobrio e semplice. Una scalinata conduce ad un elegante portale da cui si accede al giardino, mentre un altro portone guida all’interno del palazzo. Il piano terra è composto da una serie di arcate cieche che sorreggono il piano superiore, dedicato alle famiglia nobili e contraddistinto da un ampio loggiato.

Come molti dei monumenti di Frosolone, anche il palazzo baronale ha subito danni nel terremoto del 1805.

Il 27 agosto del 1771 il palazzo viene acquistato dalla famiglia Zampini, che tutt’ora lo possiede. Gli eredi Zampini hanno recentemente commissionato un restauro della facciata sud del palazzo, che è così tornato al suo colore originale.

Museo dei ferri taglienti

In passato sulle piazzette del centro storico di Frosolone si affacciavano le tante botteghe artigianali, che scandivano il ritmo del borgo con il tintinnio del forgiatura dei coltelli. Oggi quest’antica arte, patrimonio ormai di pochi maestri locali, viene raccontata attraverso il Museo dei ferri taglienti.

Il museo di Via Selva custodisce un pezzo della storia artigianale di Frosolone, conservando importanti reperti come le lame di taglio militare e i vari oggetti realizzati a mano in occasione delle diverse manifestazione sull’arte dei coltelli e delle forbici. Le mura del museo sorvegliano circa un centinaio di pezzi unici, collezionati negli anni grazie alle donazioni di artigiani, appassionati ed eredi di maestri locali. Inoltre visitando il museo si può entrare in una vera e propria bottega, allestita per l’occasione, dove dal vivo si può assistere all’arte della forgiatura.

Il museo dei ferri taglienti si può visitare tutto l’anno su prenotazione e potrete trovarlo aperto tutti i giorni nel mese di agosto.

La casa del pastore

Non solo paese di lame taglienti, Frosolone è anche un borgo che per anni ha vissuto grazie all’allevamento e alla pastorizia, praticata con metodi antichi. È proprio originaria di Frosolone la famiglia Colantuono, probabilmente gli ultimi pastori italiani a praticare la transumanza, un’attività millenaria che prevede lo spostamento di mandrie di bestiame a piedi, seguendo i percorsi dei tratturi, sentieri battuti dal passaggio delle bestie. La transumanza non è solo verticale, cioè dalla pianura alla montagna e viceversa, ma anche orizzontale, da regione a regione. La famiglia Colantuono pratica tutti e due i tipi e due volte all’anno i pastori spostano trecento bovini, passando dalle pianure pugliesi ai verdi pascoli delle montagne molisane.

La pastorizia ha sfamato tanti figli di Frosolone ed oggi per onorare quest’ economia locale, alla fine di via Garibaldi, nel centro storico del borgo molisano, troverete ‘La casa del pastore’. Una casa- museo in cui è stata ricostruita la tipica cucina di una famiglia di allevatori e contadini, durante la visita potrete assistere alla preparazione di diversi formaggi locali e ovviamente alla loro degustazione, perché è veramente difficile trattenersi dall’assaggiarli.

Museo del costume e del corredo antico

Il museo del costume e del corredo antico racconta secoli di storia attraverso i costumi tipici di Frosolone. La cultura popolare e il folklore spesso passano attraverso abiti che contraddistinguono importanti manifestazioni locali, e quindi ecco inusuali copricapo, antichi pizzi, merletti e colori che rappresentano un evento importante per tutta la comunità.

Sito archeologico, località Civitelle

Nell’agro Frosolone, in località Civitelle, si trovano testimonianze archeologiche di notevole importanza per ricostruire la storia delle origini del borgo molisano. La zona si trova andando verso la montagna, a circa 1200 m d’altitudine, in un luogo impervio e non visibile, non a caso, ma per precisa volontà dei sanniti, che abitarono questa zona. Le testimonianze giunte fino a noi sono mura megalitiche, che raccontano della presenza di un insediamento autonomo, abitato in alcuni periodi dell’anno per necessità difensive.

Le mura sono costituite da enormi lastre di pietra, che pesano alcuni quintali o forse una tonnellata e sono state sovrapposte le une sulle altre, seguendo la stessa tecnica di costruzione di muri a secco, cioè senza l’uso di alcun collante.

Si possono distinguere tre aree archeologiche: la prima, situata nella parte alta, è quella conservata peggio, caratterizzata da un recinto di mura che circonda una zona di due ettari. Nell’area centrale si distinguono almeno due diversi tipi di mura, inoltre nella zona più esterna si possono vedere diversi tratti di cinta muraria. L’unica parte visibile dalla valle e anche la zona archeologica che si è conservata meglio.

Come già detto sopra, quest’insediamento è stato costruito con un chiaro scopo difensivo, ma probabilmente nel corso del tempo ha cambiato destinazione d’uso ed è diventato anche una zona abitata, come dimostrano i resti di edifici di piccole dimensioni e la presenza di cocci di ceramica e tegole.

Non si possono fare molte ipotesi su questo sito archeologico, ma si può dire che probabilmente ad un certo punto l’insediamento è stato abbandonato e c’è stato un trasferimento nella zona più bassa, come si può vedere dalla presenza di mura più piccole rispetto a quelle megalitiche e da altre testimonianze.

Il complesso della Morgia Quadra – Colle dell’Orso

La conformazione morfologica, i diversi movimenti del terreno e la pressione degli agenti atmosferici hanno contribuito, nei secoli, alla creazione della Morgia Quadra, un complesso di rocce particolarmente suggestivo che si trova a pochi passi da Frosolone.

La Morgia Quadra è un insieme di rocce calcaree, marmoree e argillose, contraddistinte da ripide pareti verticali, che arrivano a toccare punte d’altezza comprese tra i venti e i trentacinque metri.

La Morgia Quadra, conosciuta anche come Colle dell’Orso, è la falesia più importante del Molise, sia dal punto di vista storico, sia per le sue quattrocento vie d’arrampicata e per la possibilità di creare ancora nuovi itinerari. La zona è circondata da pascoli verdi, dove spesso si possono trovare mucche e pecore nel pascolo libero e dove è possibile fare campeggio. A poca distanza dal complesso roccioso si trovano anche numerosi rifugi montani, che un tempo venivano utilizzati dai pastori ed oggi sono offerti come alloggi economici.

La Morgia Quadra non è solo un insieme di pareti verticali, è un vero e proprio paradiso per gli appassionati delle scalate e delle arrampicate. Ovviamente i più esperti lo sapranno già, ma per tutti i nuovi avventurosi, in cerca di adrenalina, vi consigliamo di venire a scalare il Colle dell’Orso nel periodo di primavera- estate, dopo che si sarà sciolta la neve.

Il paese dei ferri taglienti

Pezzi unici. Parliamo di questo quando raccontiamo di Frosolone, paese dei coltelli e delle forbici. Non oggetti qualsiasi, standard e tutti uguali, ma veri e propri capolavori d’artigianato, forgiati, intagliati e realizzati con cura maniacale, per garantire la qualità, certo, ma soprattutto per rispetto di un’arte secolare.

La tradizione della produzione di lame a Frosolone ha un’origine antica, Michele Colozza, nel volume Frosolone dal’origine all’eversione del feudalesimo, edito nel 1933, fa risalire quest’arte al IV secolo, quando l’Italia meridionale era sotto il dominio longobardo. Questo piccolo borgo molisano viveva soprattutto d’agricoltura e pastorizia e per facilitare alcune attività legate a quest’economia s’iniziano a produrre lame per realizzare attrezzi da lavoro.

Documenti risalenti al periodo medievale attestano la migrazione di artigiani veneziani nel Sud Italia ed in particolare dimostrano la diffusione in Molise dell’arte di forgiare.

Tra il XIII e il XIV secolo è attestata un’intensa produzione di lame e ferri taglienti, soprattutto a Campobasso e a Frosolone, tuttavia questa lavorazione rischia d’interrompersi quando Carlo III di Borbone, che governò il Regno delle due Sicilie nella prima metà del millesettecento, emanò un decreto che vietava la produzione di lame da combattimento, in vista della riorganizzazione industriale del settore delle fonderie e degli armamenti. Gli artigiani di Frosolone, dopo un primo momento di sconforto e d’incertezza, ebbero l’intuizione di mantenere aperte le botteghe e di convertire la propria produzione, passando dalla realizzazione di lame per spade alla costruzione di coltelli e forbici. Nel 1886 la fama di Frosolone in questo campo venne consacrata, grazie ai fratelli Fazioli che misero in mostra i propri prodotti all’Esposizione artigiana di Napoli e vinsero la medaglia d’argento.

Ancora oggi sui vicoli del centro storico di Frosolone si affacciano tantissime fucine, ma in passato il numero di botteghe era ancora più alto e per le stradine risuonava il tintinnio incessante del martello che batteva sul ferro. La produzione di lame e coltelli era un’attività che riguardava per intero la comunità e tanti erano i giovani che nelle ore libere si lasciavano incantare da quest’affascinante arte. Oggi non è più così, lo dicono con rammarico gli artigiani rimasti, anche perché l’attività è ancora molto redditizia in paese. Per onorarla è stato istituito il Museo dei Ferri Taglienti ed ogni anno dal 1996, inoltre dall’11 al 13 agosto Frosolone organizza la tradizionale Mostra mercato nazionale dei coltelli e delle forbici, che porta in paese tantissimi artigiani da tutta Italia, desiderosi di far vedere le proprie creazioni. Grazie a questo importante evento i maestri di Maniaco, nel Friuli, Premana, in Lombardia, Scarperia, Toscana e Pattada, in Sardegna, hanno stipulato con Frosolone il “gemellaggio delle lame”.

Il rito delle passate

Il primo agosto è festa grande a Frosolone, le viuzze di piccolo borgo si animano delle allegre risate dei bambini e dei ragazzi e delle chiacchiere vivaci dei tanti che giungono dai paesi limitrofi per assistere alla sfilata di carri allegorici. È una storia antica quella della festa di Frosolone, che si lega al rito francescano della perdonanza.

Nel 1216, più di ottocento anni fa, San Francesco d’Assisi si trovava in preghiera presso l’eremo della Porziuncola, quando gli apparvero la Madonna e Gesù Cristo. Il Signore domandò a Francesco cosa desiderava per il bene delle anime e lui chiese il perdono per tutti. Quest’indulgenza piena venne riconosciuta anche da Onorio III, papa in quegli anni, che la elargì a tutti i fedeli.

La presenza dei frati francescani cappuccini a Frosolone portò nel borgo questa tradizione, legata anche al rito delle passate. Fin dai primi giorni di luglio, Frosolone si riempiva di pellegrini giunti da ogni dove,che dormivano all’aperto intorno alla chiesa, in origine si svolgeva presso la chiesa della Madonna delle Grazie e successivamente si è passati alla chiesa di San Rocco, nel centro del paese. I fedeli, dopo aver ricevuto il sacramento della confessione e della comunione, uscivano dalla porta laterale della chiesa e rientravano da quella principale. Questo gesto era il simbolo di un mutamento morale e spirituale, i fedeli si lasciavano alle spalle i propri peccati e varcavano la soglia dell’edificio sacro senza macchia, cambiati nell’animo. Il rito delle passate veniva compiuto per sé, per la propria anima, ma soprattutto per lucrare le indulgenze dei cari defunti.

I tanti pellegrini portavano in paese un clima di festa, per questo nel secolo scorso i frosolonesi decisero di onorare gli ospiti allestendo un carro da far sfilare per i vicoli delle cittadina. Addobbato con rami verdi e al suono allegro della fisarmonica, i frosolonesi sul carro distribuirono bicchieri di vino e piccole cose da mangiare, dando il via ad una tradizione che continua ancora oggi e si arricchisce di anno in anno. Con il passare del tempo il numero dei carri è aumentato e sono tanti i giovani che ne allestiscono uno portando in scena piccoli momenti di vita popolare. È nata persino una simpatica competizione, che accende ancora di più l’anima festosa di questo borgo e porta sempre più visitatori.

Il disastro minerario di Monongah

I primi anni del novecento hanno portato via con sé gli sguardi vivaci di migliaia di giovani che partivano dalle coste del Sud Italia e poggiavano piede nella baia di New York, ad Ellis Island, la porta d’America. Cercavano fortuna e per chi viene dalla povertà, fortuna significa solo una cosa: lavoro. Lo offriva la compagnia Fairmont Coal Company che era così generosa da anticipare i quindici dollari necessari per il viaggio a Monongah, una piccola cittadina tra i boschi dove si veniva assunti per lavorare in miniera. Altro che Italia, tutt’altra storia.

Il minatore era un lavoro duro, ma pur sempre un lavoro. Ci si calava con le stelle che brillavano in alto e si usciva che il cielo era di nuovo buio, scuro, proprio come i volti dei minatori e dei loro aiutanti, ogni lavoratore ne aveva due, adolescenti ma spesso bambini. Nessuno doveva sapere che si trovavano lì, nessuno li assicurava, nessuno dava loro un segno di riconoscimento.

Il diavolo in miniera ha un nome solo, Grisou, un gas potentissimo che sibillino circolava per i canali e poteva esplodere da un momento all’altro, bastava una scintilla. Solo una scintilla. Come quella che scattò alle dieci e trenta del sei dicembre 1907. L’esplosione colpi km di condotti, si salvarono in cinque, morirono in mille, centosettantuno, quelli riconosciuti, erano italiani, venti frosolonesi. I dispersi furono innumerevoli perché il recupero dei corpi fu difficile, si protrasse per giorno e alla luce riportarono volti ustionati, spesso irriconoscibili e mai identificati. Proprio come il colpevole, mai trovato.

Cercavano fortuna, vennero assunti da una compagnia mineraria che prometteva loro uno stipendio, una casa, un negozio dove approvvigionarsi. Proprio fortunati, questi giovani Gli adulti venivano pagati dieci centesimi loro, i bambini ricevevano piccole mance in base alla quantità di carbone che portavano su, vivevano in delle baracche di legno, il cui affitto era di dieci dollari al mese e compravano il cibo nello spaccio dell’azienda, le spese venivano detratte dalle paghe, i lavoratori accumulavano così un debito che partiva già all’inizio, da quei quindici dollari del viaggio. Per questo abitavano in un campo di lavoro sorvegliato da forze armate, nessuno poteva andarsene senza saldare il proprio debito. Pagarono soprattutto la propria ignoranza, l’analfabetismo e la povertà. In loro la compagnia non vedeva giovani vite, ma montagne di carbone da estrarre.

A Monongah, Caterina Davia perse il marito e due bambini, mai ritrovati, era una delle duecentocinquanta donne rimaste vedove ed orfane di figli. Per quasi trent’anni ogni giorno si recò in miniera, raccoglieva un sacco di carbone che poi svuotava nel suo giardino, per togliere un po’ di peso dai suoi cari e per placare la sua anima tormentata.

Nel 2007, in occasione del centenario del disastro, la fonderia pontificia di Agnone, in Molise, ha regalato a Monongah una campana, per ricordare le vittime. Le tombe, abbandonate per anni all’incuria, polverose e spezzate, sono stare rimesse a nuovo.

Il più grande disastro minerario d’America e d’Italia è stato dimentica per anni, non è servito ad aumentare le misure di sicurezza nelle miniere e nelle acciaierie americane. Già nel 1908 altre settecento persone persero la vita in miniera, in decine di piccoli incidenti. Nell’arco di un secolo la Virginia del nord ha contato circa ventimila morti, gli ultimi quattordici nel 2006.

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