The Borgo of Castelfranco Veneto
Voluto con ardore da Treviso in una posizione centrale per controllare il territorio, franco perché risparmiato dal pagamento delle imposte: Castelfranco è cresciuto così nei secoli, intorno al castello che ha preso il comando dei borghi vicini e li ha guidati nella storia. La città si è strutturata, si è cinta di mura per proteggere le delicate case dai mattoni in cotto, rosse come la fortezza a cui non smettono di guardare. Nel paesaggio di tetti si erge la torre civica e il suo orologio, insieme al castello è narratrice di secoli di storia non sempre felici. Castelfranco le sue ferite non le nasconde, mostra gli anni dell’assedio e i segni delle bombe come medaglie da esibire, da mostrare, come monito di una pace sempre voluta e cercata. Forse è per questo che oggi è un borgo che appare in totale armonia con se stesso e con il mondo, un’armonia che collega i vivi colori dei suoi edifici e dei suoi vicoli, che ricongiunge la città con l’anima tranquilla della pianura.
Castelfranco è un’oasi di serenità, un luogo che invita a fare lunghi respiri, quelli che servono per ritrovare se stessi nella velocità del mondo.
La storia
Castelfranco Veneto è stata fondata dal comune di Treviso nel XII secolo. Il nuovo castello, costruito una posizione centrale, è stato fin da subito esentato dal pagamento delle imposte: da qui deriva il toponimo Castelfranco.
Il borgo di Castelfranco si è sviluppato in un territorio già strutturato, composto da piccoli e grandi centri signorili e vescovili. Nonostante questo è il nuovo borgo ad assumere il ruolo di guida, favorito anche dall’importanza politica ed economica che assume nel tempo.
Sotto l’influenza di Treviso Castelfranco finisce nella morsa dei conflitti bellici, in particolar modo quello che nella seconda metà del ‘Duecento coinvolge Treviso e Padova. La pace arriva solo a partire dal 1388, quando la Repubblica di Venezia inizia ad espandere il suo territorio giungendo anche nel trevigiano. Treviso perde così progressivamente i suoi domini.
Sotto la guida della Serenissima Castelfranco viene cullato da secoli di pace ininterrotta che gli consentono di crescere da tutti i punti di vista. La tranquillità convince i nobili veneziani ad investire in fondi e nell’edilizia. Inizia in questo periodo la costruzione di ville che formeranno un vero e proprio agglomerato urbano, giunto al massimo splendore nel ‘Cinquecento.
Nel ‘Quattrocento l’ideazione di un nuovo sistema di irrigazione permette di trasformare le terre aride di Castelfranco in campi coltivati. Le colture predominanti sono il frumento e i cereali minori e per permettere una commercializzazione maggiore nel 1420 viene costruito un padiglione mercatale. Intorno a questa nuova costruzione vengono aperte botteghe e laboratori, avviando una tradizione artigianale che oggi a Castelfranco Veneto ha radici profonde. In questo secolo vengono costruiti anche nuovi edifici pubblici, tra cui una nuova residenza per il podestà veneziano, il monte della pietà e una torre civica con orologio.
Nel ‘Cinquecento Castelfranco viene coinvolto nella guerra dei Cambrai. Il borgo viene occupato dalle truppe dell’imperatore Massimiliano, liberata e occupata più volte in un’altalena che termina solo nel 1517.
Due secoli di pace permettono a Castelfranco di rimettere in moto il suo motore di crescita i cui protagonisti sono in soprattutto mercanti, nobili e artigiani. Venezia interviene in questo processo di sviluppo con la costruzione di nuovi edifici civili e religiosi, che hanno lo scopo di avviare la costruzione di un’identità cittadina vicino al sentire della Serenissima.
Il fiume in piena della crescita di Castelfranco si blocca nel XVII, la città si chiude in se stessa e nemmeno la peste riesce a varcare le soglie cittadine, nonostante tra il 1629 e il 1631 avesse travolto i borghi vicini. Peggiorano la situazione due eventi drammatici: il primo è il crollo di una porzione della torre civica che si abbatte sulle abitazioni vicine, provocando morti e feriti. Il secondo è un violento terremoto che nel 1695 provoca un altro crollo della torre, prontamente ricostruita.
Chiuso il ‘Seicento con il secolo dei lumi Castelfranco è pronto a ripartire. Poggiando sui contatti con gli ambienti padovani, inizia in città un nuovo movimento culturale e una spinta di rinnovamento. Uno dei personaggi di spicco di questo periodo è Jacopo Miccati, che assumerà un ruolo di spicco anche negli ambienti politici cittadini. Con lui anche i suoi figli inizieranno ad essere assidui frequentatori degli ambienti culturali cittadini. In questi anni verrà avviata la creazione di un corpus unitario di manoscritti, ancora oggi considerato un’importante memoria storica e viene inoltre ideato un nuovo assetto idrico, che risolve il problema delle acque stagnanti.
Nonostante questa spinta propulsiva, gli ambienti aristocratici sono smossi da un profondo malcontento per via delle imposte e della crisi politica che li coinvolge. Nel 1719 fallisce un primo tentativo di impedire l’accesso alle cariche politiche alle classi sociali non nobili. Nel 1728 è la stessa Repubblica di Venezia ad interdire dalle cariche politiche gli individui che hanno meno di vent’anni e che non hanno capacità contributiva. Questo porta tra i seggi politici personaggi di spicco della nobiltà locale, almeno fino al 1797. Anno in cui inizia la crisi che coinvolge la Serenissima e provoca un arresto economico e demografico generalizzato.
Da questo momento in poi per il Veneto e per Castelfranco iniziano anni di vicende travagliate, anticipate dalla guerra Franco – Austriaca che mette fine ad un lungo periodo senza conflitti. Il 2 maggio del 1797 entra a Treviso Napoleone Bonaparte e qualche giorno più tardi a Castelfranco viene costituita la Municipalità Democratica. Vengono eliminati tutti i simboli della Repubblica di Venezia e viene innalzato nel cortile del castello l’albero della libertà.
Già ad ottobre del 1797, con il trattato di Campoformio, Il Veneto viene ceduto all’Austria, a cui apparterrà fino al 1805 quando le terre verranno annesse nuovamente nel Regno Italico di Napoleone.
La fine del sogno napoleonico e il congresso di Vienna, segnano il definitivo ritorno del Veneto all’Austria. Nonostante l’Italia in questi anni sia scossa dai movimenti risorgimentali, Castelfranco Veneto rimane estraneo a queste situazioni. La costruzione di nuovi edifici pubblici avvia un nuovo periodo di sviluppo. Nel 1861 per decreto imperiale Castelfranco Veneto diventa città e solo nel 1866, insieme al Veneto, viene annessa al nuovo Regno d’Italia. L’annessione coincide anche con una nuova ondata edilizia, favorita dalla volontà di dare un nuovo volto alla città
L’inizio del ‘Novecento porta a Castelfranco Veneto l’odore nauseabondo dei conflitti mondiali. Il primo viene annunciato in città dalla decisione di trasferire la Pala di Giorgione a Firenze.
Negli anni della Grande Guerra Castelfranco Veneto diventa una città di passaggio. Qui arrivano i treni – ospedali, carichi di soldati feriti in battaglia. L’alto numero di soldati morti porta alla decisione di allargare il cimitero comunale.
Come se le disgrazie non fossero sufficienti, Castelfranco in questi anni è vittima di bombardamenti pesanti. Quello che tutti ricordano con più tristezza è quello che 31 dicembre del 1917, che causò un alto numero di vittime.
Il dopoguerra non porta in città la spinta propulsiva sperata ma resta un periodo di crisi profonda e di disagio economico e sociale. La speranza della popolazione viene affidata alle nuove elezioni comunali del 1923 a cui s’iscrive solo una lista, quella del partito fascista.
L’Italia e Castelfranco Veneto vengono traghettate verso una nuova guerra mondiale. La città subisce ancora una volta duri attacchi e bombardamenti che causano distruzione e morti.
Rinascere e ripartire sembra difficile eppure la fiammella della speranza non si affievolisce e viene affidata alle truppe partigiane della brigata Cesare Battisti, che a Castelfranco Veneto guidano la resistenza.
Il 29 aprile del 1945 la città torna libera, si può finalmente guardare avanti.
Duomo di Santa Maria Assunta e San Liberale.
Il duomo di Castelfranco è stato consacrato al culto nel 1746 nonostante non fossero ancora stati completati la cupola, l’atrio e la facciata che è stata aggiunta nel 1892 – 93.
La chiesa è la prima opera progettata da Francesco Maria Preti, ispirata alla chiesa del Redentore di Venezia.
Per fare posto al nuovo luogo di culto è stata distrutta la chiesa romanica ‘di dentro’, antico fulcro delle memorie cittadine.
Gli ambienti interni sono disegnati da una serie di colonne e piedistalli e ai lati si trovano sei cappelle, tre per lato, comunicanti tra di loro. Nella chiesa si trova anche la tomba dell’architetto Preti.
Il duomo di Castelfranco è ricco di opere d’arte di pregio, tra tutte la più importante è la Pala di Giorgione. Si possono ammirare la Discesa di Cristo al limbo, opera pittorica di Giovanni Battista Ponchini e il Martirio di San Sebastiano, realizzato da Jacopo Palma il Giovane.
Nella sagrestia si trovano alcuni brani del ciclo pittorico di Paolo Calliari, in arte Il Veronesi. Sul soffitto si trova Il Tempo e la Fama, sulla parete di destra sono rappresentate la Giustizia e la Liberta e quattro angeli.
Questi affreschi si trovavano in origine nella Villa Soranzo, demolita poi nell’Ottocento. Filippo Balbi ha avviato un processo di recupero degli affreschi che, attraverso un innovativo processo tecnico, sono stati staccati dal muro originale. Purtroppo per gran parte sono andati perduti, alcuni sono oggi in mano a collezionisti privati ma la produzione più importante si trova nella sagrestia del Duomo di Castefranco Veneto. Oltre agli affreschi del Veronesi qui sono anche conservati la Cena di Emmaus e la Consacrazione Vescovile di S. Nicolò, realizzati da Paolo Piazza e la Presentazione al Tempio, opera di Jacopo Palma il Giovane.
Castello
Nel medioevo il trevigiano era un territorio animato da conflitti e vicende burrascose che coinvolgevano anche le vicine Padova e Vicenza. Nonostante fossero già presenti fortilizi signorili e vescovili, il comune di Treviso decide di erigere un nuovo castello che doveva diventare un avamposto di difesa, con una precisa funzione militare e politica.
Viene quindi costruito un castello a pianta quadrata, contraddistinto da un caratteristico colore rosso, con quattro torri di difesa poste agli angoli e un torrione merlato. Per favorire la popolazione di questo nuovo centro, Treviso decise di esentare dal pagamento delle imposte i nuovi abitanti.
Sotto la signoria di Ezzelino III da Romano, nel ‘Duecento, viene eretta un’imponente cinta muraria, per gran parte ancora esistente.
Dopo aver attraversato più assedi, alternati a periodi di pace e tranquillità, il castello si salva dalla minaccia della demolizione nell’Ottocento. Sfiorato dai bombardamenti delle guerre mondiali, oggi il Castello di Castelfranco porta ancora addosso le cicatrici dei patimenti subiti e mostrandole con orgoglio rivendica il suo titolo di simbolo cittadino.
Teatro Accademico
A metà del Millesettecento la Società degli Accademici commissionò la realizzazione di un teatro. Il Teatro Accademico fu realizzato quasi interamente tra il 1754 e il 1780 su progetto dell’architetto locale Francesco Maria Preti, che aveva già firmato il progetto del Duomo.
Il teatro viene voluto per portare in scena spettacoli e rappresentazioni musicali ma nasce anche dall’esigenza degli accademici di aver un punto dove incontrarsi e discutere.
L’intero progetto dell’architetto Preti risponde a precise regole matematiche, come già aveva fatto per il duomo anche in questo caso applica la regola della Media Armonica Proporzionale che consente di godere di una perfetta acustica.
Nell’Ottocento il teatro viene restaurato e adattato alla messa in scena dell’Opera. In questo contesto vengono aggiunti la facciata e l’atrio e l’affresco di Giambattista Canal che si trovava sul soffitto viene sostituito da un’allegoria che rappresenta l’immortalità assisa tra la Virtù e la Gloria che dispensa rami di alloro a letterati ed artisti raffigurati con il volto di personaggi noti di Castelfranco.
Il 9 ottobre del 1858 il Teatro Accademico restaurato viene inaugurato con la rappresentazione del Trovatore di Giuseppe Verdi.
Nel 1970 la Società degli Accademici cede il teatro al Comune di Castelfranco Veneto ed è proprio quest’ultimo negli anni successivi ad avviare nuovi lavori di restauro.
Il teatro oggi è utilizzato per eventi culturali, mostre e spettacoli di vario tipo.
Casa di Giorgione
La casa di Giorgione è una dimora storica a pochi passi dal Duomo di Castelfranco Veneto. Qui si racconta che sia nato il celebre pittore rinascimentale, tra il 1477 e il 1478.
Il nucleo più antico dell’edificio risale al XIV secolo e i successivi ampliamenti laterali sono stati datati tra il XV e il XVI secolo.
Nell’Ottocento è stata in parte mutilata e ancora oggi nel grande salone centrale si notano due aperture murate. Questa sala è particolarmente importante perché qui si trova il Fregio attribuito proprio a Giorgione e ancora oggi oggetto d’interpretazione critica.
La casa di Giorgione nel corso dei secoli è passata dalle mani di uomini nobili e potenti per poi rimbalzare più volte tra le proprietà della provincia, della regione e del comune. Dal 1998 è di pertinenza del Comune di Castelfranco Veneto e con l’inizio del nuovo secolo si è provveduto ad avviare un importante restauro che ha permesso di recuperare un fregio del XVI secolo e un ciclo di affreschi con scene bibliche e paesaggistiche del XVI secolo, entrambe opere di Frescante Veneto.
Villa e Parco Revedin Bolasco
Un angolo di paradiso a Castelfranco è villa Revedin Bolasco e in particolar modo il suo elegante giardino.
La villa è stata voluta nel 1866 da Francesco Revedin, podestà di Castelfranco e primo sindaco della città.
È un’elegante dimora storica in cui spiccano per bellezza il salone da ballo e gli ambienti delle scuderie. Il vero gioiello della villa è il suo parco, un giardino all’inglese che Francesco Revedin ha voluto progettare come un vero e proprio paradiso terrestre. Per la sua realizzazione sono stati chiamati i più importanti architetti paesaggisti di tutta Europa.
Il parco è un insieme di scorci e angoli suggestivi, come la serra in stile ispanico – moresco e la torre. Di particolare importanza è l’arena – cavallerizza che mette in risalto la passione per l’equitazione di Francesco Revedin. L’arena è introdotta da imponenti statue equestri poste su basamenti e arricchita da sculture raffiguranti cavalli e cavalieri.
Oggi il parco si estende per più di sette ettari e conta su una ricca vegetazione, composta da più di mille esemplari, tra cui molti con un’età che varia tra i settanta e i centoventicinque anni.
La Pala di Giorgione
Il duomo di Castelfranco Veneto conserva una delle più importanti opere di Giorgione, pittore rinascimentale nato proprio in questo borgo.
L’opera è di particolare importanza anche perché è una delle poche opere certe dell’artista, databile tra il 1503 e il 1504. È stata commissionata da Tuzio Costanzo in onore del figlio defunto Matteo, per essere posta nella cappella di famiglia.
L’opera è in legno, raffigura la Madonna seduta in trono con in braccio il bambino, ai lati San Francesco d’Assisi e San Nicasio, sullo sfondo di uno scenario di campagna e di collina.
San Nicasio è spesso venerato insieme a San Francesco, patrono di Messina, di cui è originario il committente. San Nicasio reca inoltre il vessillo dei Cavalieri di Malta, ordine a cui è appartenuto fino alla sua morte, avvenuta nel 1187.
Con questa pala Giorgione introduce innovazione nella pittura veneta di quell’epoca. In questo dipinto si ritrova quella che Giorgio Vasari definisce “pittura senza disegno” ovvero un tipo di tecnica pittorica basata sulla sovrapposizione di colori e su un’ampia gamma cromatica. Sapiente anche l’uso del chiaroscuro, che qui diventa morbido e sinuoso.
Giorgione in quest’opera elimina riferimenti aulici ed ecclesiastici, la Madonna viene posta su un trono alto e quasi sproporzionato ma sullo sfondo si scorgono scene di distruzione e rovina, accostate a due piccole figure armate, il tutto a simboleggiare la guerra come fonte di dolore e di lutti.
Questa pala in origine si trovava nella chiesa romanica ‘ di dentro’, successivamente demolita per fare posto al Duomo. La mancanza della sua collocazione originaria non consente di elaborare a pieno il significato di un’opera così importante che ancora oggi spesso va incontro a nuove elaborazioni critiche.
Il fregio di Giorgione
Al primo piano di Casa Giorgione, nell’ampio salone centrale si trovano due fregi che decorano rispettivamente le pareti di destra e di sinistra.
Il fregio della parete di destra è ancora oggi molto controverso, sia per quanto riguarda il suo autore sia per quanto riguarda il significato. Gran parte della critica è concorde nell’attribuire questo fregio a Giorgione, solo alcuni pensano che sia opera di un artista sconosciuto.
Il fregio è caratterizzato da oggetti e strumenti, alternati a figure circolari, volti di personaggi illustri e cartigli che riportano citazioni della Bibbia, del Bellum Catilinae di Sallustio e delle Sententiae di Publilio Siro.
Apparentemente il fregio appare come la rappresentazione di un insieme di oggetti disposti alla rinfusa eppure basta scavare più a fondo per trovare significati nascosti che poggiano su un ermetismo molto caro a Giorgione.
L’interpretazione che trova più riscontri è quella in cui si afferma che il fregio simboleggi la brevità della vita umana, in cui giocano un ruolo fondamentale la Fama e la Virtù. Le arti liberali diventano in questo senso strumento di esaltazione di quest’ultime perché permettono di superare gli aspetti più concreti delle vicende umane, simboleggiate dalle arti meccaniche.
Una seconda interpretazione, che ha avuto meno fortuna ma è ugualmente molto interessante, sostiene che il fregio sia collegato a significati esoterici. La chiave per questa interpretazione è l’astrologia che poggia sugli elementi astronomici, presenti per un terzo dell’intero dipinto.
L’astrologia nel ‘Cinquecento era considerata come la scienza attraverso cui si potevano conoscere le future vicende degli uomini.
Nel fregio sono stati raffigurati la congiunzione di Saturno, Giove e Marte nel segno del Cancro, un’eclissi di sole e un’eclissi totale di luna eventi che permettono di datare il dipinto tra il 1502 e il 1503. Questi eventi astronomici in passato erano considerati nefasti perché portatori di squilibri e di conflitti ed il conflitto è in effetti rappresentato attraverso due trofei d’armi. Sostanzialmente questa seconda interpretazione sostiene che per Giorgione l’ira di Dio si stava riversando sull’umanità e non c’era possibilità di salvezza neanche per l’arte e per la musica, come si evince dalla raffigurazione di strumenti musicali abbandonati e di disegni lasciati a metà. Dalla lettura delle citazioni si evince che per il pittore l’unica possibilità di salvezza è appoggiarsi alla ragione e attraverso questa iniziare a guardare verso la strada del futuro.
Se il fregio di Giorgione è articolato e misterioso non si può dire lo stesso dell’altra raffigurazione pittorica, realizzata da un’artista anonimo che ha provato ad imitare il dipinto dell’altra parete.
Giorgione
Sulla vita di Giorgione si sa veramente molto poco e altrettanto si conosce sulle sue opere, tutte senza firma e tutte intrise di un ermetismo che le riempie e le colma di significati.
Secondo alcune fonti storiche Giorgione è nato a Castelfranco Veneto tra il 1477 e il 1478. È considerato tra i più importanti pittori rinascimentali, nonostante abbia operato solo per circa un decennio nella scena artistica veneziana. È considerato un innovatore e un artista in grado di caricare le sue opere di significati tanto profondi quanto nascosti.
Pochi anni dopo il suo trapasso in alcuni carteggi viene definito come ‘Giorgione’ ad indicarne un’imponente statura ma anche un’alta levatura artistica e morale.
Da alcune epistole è possibile dedurre che sia morto intorno al 1510.
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Torta Fregolotta
La torta Fregolotta è un dolce tipico Veneto ed in particolar modo della zona trevigiana. La ricetta originale risale al Millesettecento, periodo in cui era consumata soprattutto dall’aristocrazia veneta.
Nel ‘Novecento a Angelo Zizzola di Castelfranco Veneto viene l’intuizione di riprendere quest’antica ricetta e di farne un’attività di famiglia. Ancora oggi il nome del forno – pasticceria Zizzola è strettamente legato alla torta Fregolotta.
Ingredienti:
- 300 gr di burro temperatura ambiente;
- 300 gr di farina 00;
- 300 gr di zucchero;
- 300 gr di mandorle;
- 2 tuorli d’uovo;
- Semi di bacca di vaniglia;
- 3 – 4 cucchiai di liquore di mandorle amare;
- un pizzico di sale.
Preparazione
Prelevare una quantità di zucchero e tritarla insieme alle mandorle fino ad ottenere una farina. Unirla poi alla farina 00, allo zucchero restante e ai semi di vaniglia mescolando per amalgamare il tutto. Aggiungere infine il burro ammorbidito e il liquore di mandorle e lavorare il composto fino ad ottenere un impasto “sbriciolato”.
Prendere un foglio di carta forno, bagnarlo e strizzarlo e rivestire una teglia rotonda, preferibilmente di diametro 24 o 26 cm. Disporre il composto nella teglia e compattarlo con le dita fino ad ottenere un’altezza di 1 centimetro e mezzo per tutta la teglia.
Infornare per 40 minuti a 180°, fino a far dorare la parte superiore.
Quando la torta è pronta lasciarla raffreddare e poi dare un pugno al centro per farla rompere e creare le fregole cioè le briciole, così come vuole la tradizione.
La torta sfregolotta è un dolce ideale per ogni momento della giornata, ottima da gustare con un vino passito.
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